giovedì 27 ottobre 2011

Livia

Ho messo dodici sassi in fila.
Dodici giorni, dodici notti, dodici parole.
Fin qui.
Ho messo dodici sassi in fila.
Sporchi di tempo, di sangue e sudore.
Sporchi di mani che cercano amore.
Non c’è.

Livia guarda fuori dal vetro ed un raggio di sole le illumina gli occhi che non hanno lacrime. E’ giorno, anche oggi, di nuovo.

Si alza dal letto e prepara il caffè. Oggi è festa. Oggi è festa per cosa e per chi? Accende distratta una sigaretta. Quella delle sei e trentacinque. Del lunedì, del martedì, del mercoledì, della domenica. Certo i ragazzi si alzeranno più tardi, oggi non deve svegliarli. Questo deve ricordarselo nei giorni di festa. E Marco, il profilo, l’ombra di Marco, girerà tutto il giorno per casa, occuperà un posto in più sul divano, sposterà qualche oggetto che lei dovrà poi con calma rimettere a posto. Non che qualcuno se ne accorgerebbe. Che è fuori posto. A casa di Livia nessuno sa dove stanno, dove vanno le cose. Per questo c’è lei. Sempre. Per tutti e per tutto c’è lei. Anche se nessuno la vede da un pezzo.

Silenziosa e invisibile perlustra le stanze adesso. Raccoglie maglie, pantaloni, calzini, mutande. Li osserva, li annusa. Pensa alla cesta che ha fatto fare del bagno. La cesta dei panni sporchi. Quella che usa solo lei da sempre. Pensa alle mille parole sprecate, dette, ripetute, urlate, implorate. No non ci pensa. Non ha neanche senso. Avvia la lavatrice e mette in ammollo le cose che ha scelto di lavare a mano. Mentre il bacile si riempie e la schiuma si gonfia tira su col naso. Sono giorni che si trascina questa maledetta influenza che non vuole passare. L’hanno avuta tutti. E’ stato un buon diversivo in fondo. Un ciclico déjà-vu, ma pur sempre un diversivo. Ed è anche durato un bel po’. Perché l’hanno presa a turno. Ha iniziato Marco. Insomma iniziato è una parola grossa. Per Livia almeno. Che sa quando l’influenza le va via, che smette di tossire, di starnutire e di tirar su col naso, ma non sa quando inizia, che niente le cambia. Marco trentasette di febbre e sei giorni a letto di lamenti disperati. E di silenzio totale che forse i ragazzi sarebbe meglio che andassero dalla nonna che fanno troppo rumore e a me scoppia la testa. E colazione e pranzo e cena e sigarette, soprattutto quelle, e televisione e giornali e riviste e telefono e diocosaltrotiserve nel letto. Senza tregua. Poi uno alla volta è toccato ai ragazzi. E lì la battaglia è stata, da cliché,  a corrente alternata. Di mattina un delirio di malanni e di invocazioni di aiuto-amore-assistenza-pietà sto troppo male anche se non ho più febbre non ce la posso fare ad andare a scuola!, di sera non ho più niente cazzomamma perché non vuoi farmi uscire!

Guarda l’orologio Livia. Neanche avesse un impegno, un appuntamento. Le sette. Se non fosse domenica dovrebbe svegliare i ragazzi e mentre litigano per il bagno preparare la colazione, controllare gli zaini, trovare i guanti, i caschi, i portafogli, i telefoni, i documenti e le chiavi del motorino. Meno male che ne hanno uno in due. Almeno documenti e chiavi si trovano in una volta sola. Massimo in due. C’è tempo per un’altra sigaretta e un secondo caffè. Un privilegio dei giorni di festa.

Stamattina l’aria è più fredda. Rientra in camera da letto e prende una vecchia giacca di lana dall’attaccapanni. Mentre Marco dorme il sonno dei giusti. Esce sul balcone nell’aria frizzante. E’ domenica, fa freddo ed ha l’influenza. Avrebbe potuto chiedere a Marco di toglierle e stenderle i panni visto che resterà a casa. E di innaffiare le piante. Le sue piante. Quelle di cui lui va tanto fiero che crescono rigogliose senza chiedere niente. A lui. A Livia si. A Livia chiedono acqua e a volte anche della terra nuova, del concime, dell’antiparassitario. Ma è solo un pensiero. Neanche. In fondo loro qualcosa le danno. Colori. Intensi e vivi. E’ quasi un peccato che stamattina fa freddo.

Ripiega i panni e li divide in tante file ordinate sopra il divano. Quella più grande è quella dei panni da stirare. La più misera è quella delle sue cose. Esce poco Livia. Per far la spesa, per qualche commissione, per le sigarette. Qualche volta accompagna i ragazzi a una festa, o li va a prendere, in piena notte. Lei, non Marco, che la mattina deve andare a lavoro o che la domenica è l’unico giorno che può riposare.

Le sette e quaranta. Tommy ha accordato il suo orologio biologico ai ritmi immutabili dei giorni di Livia con una precisione che ha del grottesco. Ha avuto poco tempo per fare il cucciolo pestifero. E’ arrivato quando i ragazzi avevano da tempo smesso di chiederlo. Marco non voleva altri impegni. Altri. Impegni. E in altrettanto poco tempo ha capito che c’era una sola persona che poteva dargli tutto quello di cui aveva bisogno. Compreso l’amore. Compreso i giochi. Perché Livia gli aveva ritagliato del tempo anche per quello. Così alle sette e quaranta precise il suo muso lucido e nero è sulle gambe di Livia che fuma la terza sigaretta affianco ai panni ripiegati. La terza oggi che è un giorno di festa. La seconda in un giorno normale, con i panni ancora da ritirare e le piante ancora da innaffiare, dopo aver salutato i ragazzi e avergli lanciato dalla finestra il cappello, la sciarpa, il diario, il quaderno per le esercitazioni, le squadrette no che si rompono risali a prenderle, vienimi incontro che si fa tardi.

Ok Tommy, acqua e croccantini mentre la mamma va in bagno a vestirsi. Oggi c’è il parco, sei un cane fortunato. Perché è domenica ed i panni sono già dentro. E le piante hanno già avuto l’acqua.

Le otto e un quarto. In un giorno normale Tommy starebbe ansimando vicino alla porta per rientrare in casa a svegliare il padrone. Illuso che sia un privilegio concesso. Non sa che è l’unica piccola amara vendetta di Livia. Che Livia concede a se stessa. Gli apre la porta della stanza da letto e lo lascia entrare davanti a lei. Tommy salta festoso sul letto su Marco incapace di provare a difendersi. Oh la paga Livia quella vendetta, la paga. Perché Marco si alza furente che insomma che cosa ci vuole a tenere un cane e che lui non ci dorme in un letto pieno di peli; e lei dovrà disfarlo e dovrà stendere le lenzuola e le coperte all’aria, mentre lui è nel bagno, e prima che vada via, che deve vederlo per esserne certo. La paga. Ma sente la sua voce. Ancora impastata di sonno. Rivolta a lei. Come nelle mattine di tanti anni fa. La sente e si chiede perché vuole ancora sentirla. Perché vuole ancora sentirla se le graffia l’anima e le brucia dentro come una manciata di sale, se sente di non avere più sangue da spendere a bagnar le ferite.

Le otto e quarantacinque. Fino alle nove per passare dal giornalaio a comprare il giornale e al distributore delle sigarette. Di domenica.

Dodici sassi. Oggi è domenica e sono dodici mesi. Dodici mesi che Andrea se ne è andato. Andrea che in un soffio le ha messo le mani sul cuore. Quel cuore che lei non sentiva di avere. Dodici sassi per dodici giorni. Di tutto e di niente e di non poter stare.

Sono le nove. Livia ha aperto la porta la porta di casa. C’è da stirare, da far da mangiare. Poi i ragazzi, poi Marco, poi i letti, le stanze, poi il pranzo, poi i piatti, poi Tommy, poi. Poi sera, poi notte, poi giorno.

Sulla mensola in bagno ci sono trucchi e smalti e profumi. E ricordi. Soprattutto. Il rossetto è secco e le brucia le labbra screpolate dal freddo. L’eyeliner. Quando aveva le lacrime l’eyeliner e Livia non andavano molto d’accordo. Quando ha smesso di averle ha smesso di usarlo. Ha l’aria stanca Livia. E truccata ce l’ha ancora di più. Specie adesso, con questo trucco pesante. Ma va bene, va bene così. Perché ha sonno Livia. Ha sonno da così tanto tempo e nessuno lo sa. Tommy. Tommy si, Tommy qualche volta l’ha vista, l’ha vista crollare d’un pezzo sul divano o su un letto o su una poltrona. Rannicchiarsi e farsi piccola, piccola come una bambina. E l’ha vista rialzarsi indolente e distratta, l’ha vista parlare da sola, ballare da sola, tenersi le mani da sola. L’ha vista di notte anche. L’ha vista di notte guardare lontano. Guardare lontano e cominciare a contare.

E’ presto, è ancora presto. Ma oggi il tempo di Livia ha un tempo diverso. Oggi segue i suoi conti. Ha aperto la porta della sua stanza e Tommy si è buttato felice sul letto, felice su Marco, con le zampe piene di fango. Non è entrata a riprenderlo.

Oggi è domenica e si mangia alle due. Ma questa volta si mangia qualcosa di pronto. E forse non proprio alle due. Lo prenderò per la strada tornando. Fa freddo e ho la febbre. E dovrei stare a letto. Ma è festa. E sono dodici mesi. Ho dodici sassi da posarmi sul cuore.


 http://www.lavalledeitempli.net/2011/10/15/livia-%e2%80%93-di-cinzia-craus/

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