sabato 5 novembre 2011

Irene si guarda le mani

E’ quasi l’alba.
Ti guardi le mani cariche di vene.
E’ già tanto,
che è l’alba.
Che sei qui ad osservarti le mani e hai vinto il sonno. Era un po’ che non succedeva, che ti lasciavi vincere. A volte nei luoghi e nei momenti più assurdi e per tempi infiniti. Che ti lasciavi vincere in quella che tu vivi ormai come l’ultima tua battaglia. Dormire. Il sonno per te è diventato l’ultimo tuo nemico o l’ultimo amico che ti è rimasto. Che un nemico quando lo vinci è l’amico che ti ha dato ragione di esistere.
L’alba e un altro giorno inutile. Ma non sono l’alba, il giorno, il tramonto, la sera, la notte che scandiscono il tempo, sono il sonno e il risveglio. Hai smesso di dormire quando hai capito che svegliarsi era inutile. Senza senso.

Tic, tac, tic, tac, tic, tac.

Anche le ore non hanno senso. Sono tutte assolutamente uguali. E vuote.
Dicono che quando fai qualcosa che ami il tempo, le ore, volano in fretta. Che il tempo, le ore passano lente quando non hai nulla da fare o quello che fai ti da noia. E’ un anno che mi guardo le mani e mi sembra di avere iniziato ieri. Non mi annoia. Non mi appassiona. Le guardo, e intanto il tempo degli altri scorre.

Tic
Tac
Tic
Tac
Tic
Tac

Non sei sempre stata così.

Non è sempre stato così.
Irene aveva un sacco di amici. Irene viveva un sacco di amici. E un’interminabile scorta  di sogni che lei preferiva chiamare progetti. “Volere è potere” si diceva ogni giorno e lo diceva a chi invece aveva paura. Era un treno senza fermate. Di quelli che ti travolgono e ti portano via, e ti cambiano qualcosa dentro, per sempre. Era stata un treno a scuola, nello sport, all’università, lo era quando lavorava. Nei suoi occhi brillava la fiamma viva della passione che divora ogni cosa. Qualunque cosa facesse. Le sue mani nervose tracciavano, sulla carta, sui muri, nell’aria, nel vento, le linee dei suoi pensieri che si facevano parole. Che suonavano forte. Potevi amarla e seguirla. O odiarla. E l’avresti seguita lo stesso.
E sapeva ascoltare Irene. Irene ascoltava ogni cosa e da ogni cosa si lasciava riempire. Ascoltare sentire vedere conoscere, mangiare bere dormire respirare.
Troppo. No non fraintendetemi non c’è mai un troppo per chi ha sete di crescere, per chi ha fame di vivere. Ma c’è un troppo per chi ascolta col cuore. E che nel cuore ha anche una testa. Perché Irene mentre ascoltava pensava. Pensava alle cose che aveva ascoltato. Pensava alle cose che aveva sentito e visto e conosciuto. Pensava alle cose che aveva vissuto.
E mentre ascoltava e pensava le ombre crescevano piano e poi forte e poi ancora più forte, da sopra la pelle, da sotto il cuscino. E tutti i colori, gli odori, i sapori, perfino i dolori diventavano uguali. Tutti suoni del mondo diventavano uno, una sola parola meschina ed ipocrita e falsa.

Tic, tac, tic, tac, tic, tac.

Non sono le ombre che mi hanno fermato. Non sono le ombre. Piuttosto la luce. Non sono le ombre che mi hanno fermato.

Tic, tac, tic, tac, tic, tac.

Lo so, lo so Irene. Non sono le ombre che ti hanno fermato e credimi non è stata neanche la luce.
Ti guardo la fiamma negli occhi. Ogni tanto si accende. Basta trovarti qualcosa da fare, qualcosa da fare  che bisogna fare, qualcosa che ti accenda il pensiero che lo faccia vibrare, volare lontano. Basta, a volte, qualcosa che ti faccia ridere. E ancora succede che ti ci voglia poco. A ridere. E il treno riparte.

Tic
Tac
Tic
Tac
Tic
Tac

Tra poco è di nuovo Natale. A casa di Irene è Natale da un anno. L’albero è un po’ impolverato, le luci, il presepe. E’ rimasto tutto lì. Come le valigie di quest’estate. Come le pagine dei calendari ferme ad un tempo lontano. Come le liste di cose da fare. Le ore vuote sono così piene da lasciare senza tempo, senza respiro. Irene si guarda le mani.

Driiiiiiiinnnnnn

Il giorno degli altri comincia.
Faccio qualcosa che si deve fare. Magari mi impegno e rido e sorrido. Magari mi seggo e mi guardo le mani. O forse mi raggomitolo stretta nel letto e mi lascio dormire. Tanto qualcosa mi verrà a svegliare. Qualcosa che non ha spazio né tempo, che non ha pensiero, che non ha bisogno. Non ha bisogno del mio pensiero. Qualcosa di vuoto si verrà a infilare nelle mie ore piene di vuoto. Che non chiede pensiero, che non chiede parole. Che non riempie le mani. Che son troppo piene. Il treno non parte con un sorriso.